Genetica dell’obesità

 

  1. Abstract ed introduzione
  2. Obesità monogenica
  3. Obesità sindromica
  4. Obesità comune
    4.1 – ereditabilità del “fenotipo obesità”
    4.2 – geni di suscettibilità: approccio metodologico di ricerca
    4.3 – il mappaggio QTL (quantitative trait loci) dell’obesità
    4.4 – Il gene FTO (Fat mass and obesity associated)
  5. Prospettive di sviluppo degli studi sulla genetica dell’obesità comune
    5.1 – Individuazione di aplotipi di rischio
    5.2 – Test predittivi
    5.3 – Farmaci
  6. Conclusioni
  7. Bibliografia

Genetica dell’obesità e prospettive di nuovi test predittivi

Giovanni Buonsanti

Biologo, specialista in genetica applicata, nutrizionista e responsabile sanitario del Laboratorio di analisi cliniche del dott. A. Montemurro & C. S.a.s. – SSR Regione Basilicata, Matera

Abstract
Obesity is a disease whose social impact in terms of public health and health care costs is dramatically high and it continues to grow. Although its prevalence ranks it among the most common illnesses in absolute, little is known, to date, about the aetiopathogenetic molecular mechanisms. If we consider it as phenotypic trait, obesity is a multifactorial disease in which specific genetic assetts predispose to the development of the phenotype in an obesogenic environmental context. Recent scientific and technological advances have allowed to identify some genetic variants of susceptibility; it was also possible to establish an increase in risk of manifesting the phenotype in presence of specific haplotypes.  Are also in progress studies on population-specific of haplotype-phenotype association and intervention trials to investigate the most efficient approach to minimize the impact of the environment on phenotype for specific haplotypes. These discoveries open up the possibility, in the near future, to realize predictive genetic tests that, depending on the haplotype risk, allow to identify the most effective strategy to reduce the effect of the environmental component minimizing the expression of the phenotype.

Introduzione
I fattori ambientali in grado di contribuire allo sviluppo dell’obesità sono noti da tempo: l’inattività fisica e l’iperalimentazione rappresentano infatti le due principali cause di obesità, alle quali si aggiungono una serie di condizioni che nel corso degli anni sono state osservate essere in grado di contribuire al fenotipo: sviluppo intrauterino, ormoni, inquinamento ambientale, trattamenti farmacologici, microbiota intestinale, status sociale, attitudini comportamentali e psicologiche. Tutte le condizioni ambientali note per essere causative di obesità svolgono tuttavia la propria azione avendo come intermediario il genoma del singolo individuo, la cui peculiarità rende ragione del fatto che in condizioni ambientali omogenee l’espressione del fenotipo cambia da individuo ad individuo, con differenze anche marcate ai due estremi. In altri termini, l’obesità è un fenotipo che si manifesta in ragione dell’interazione tra un determinato genotipo ed un determinato ambiente, definizione comune a tutte le malattie multifattoriali. L’obesità può pertanto essere definita una malattia multifattoriale in cui un “make-up” genetico rende un individuo suscettibile ad incremento dell’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) quando esposto ad un ambiente “obesogenico”, un ambiente cioè che favorisce un introito energetico superiore al dispendio energetico. Esistono anche forme di obesità monogenica o mendeliana, così come sono note forme di obesità sindromica in cui una specifica lesione genetica determina lo sviluppo di un fenotipo complesso caratterizzato da diverse patologie una delle quali è appunto l’obesità. Poco rilevanti da un punto di vista della prevalenza nella popolazione rispetto all’obesità cosiddetta “comune” le forme di obesità ad eziopatogenesi squisitamente genetica rappresentano un modello di studio utile per la comprensione dei meccanismi molecolari che governano l’omeostasi energetica nel corpo umano; inoltre alcuni geni coinvolti nell’insorgenza di tali forme di obesità risultano anche coinvolti nel contribuire al fenotipo nelle forme di obesità comune (1, 2, 3)


Obesità monogenica

Le forme di obesità monogenica ad oggi note sono riconducibili a mutazioni germinali inattivanti di geni responsabili della sintesi delle proteine coinvolte nel controllo dell’omeostasi energetica. Il controllo fisiologico del bilancio energetico avviene infatti ad opera di un raffinata (ed in larga parte ancora ignota) rete di segnali ormonali scambiati tra i tessuti periferici (apparato gastrointestinale, organo adiposo) e centrali (ipotalamo) (1). A livello ipotalamico il nucleo arcuato contiene due set di neuroni, uno (“AGRP/NPY”) che produce i pepetidi “Agouti-related peptide” e Neuropeptide Y e l’altro (“POMC/CART”) che produce i peptidi Proopiomelanocortina ed il “Cocaine-and amphetamine-regulated transcript”; i due set di neuroni svolgono rispettivamente un ruolo oressizzante ed anoressizzante e rispondono sia a mediatori rilasciati da organi periferici (stomaco, intestino, pancreas, organo adiposo ecc) sia a stimoli provenienti dallo stesso ipotalamo. I segnali endocrini periferici che stimolano questi neuroni possono esercitare le proprie funzioni sia a breve termine che a lungo termine. L’insulina, ad esempio, agisce sul Sistema Nervoso Centrale (SNC) a medio-lungo termine come segnale di adiposità e svolge un ruolo anoressizzante attraverso la stimolazione dei neuroni POMC/CART e l’inibizione simultanea dei neuroni AGRP/NPY. La leptina, prodotta dall’organo adiposo, agisce a lungo termine come segnale di adiposità con ruolo anoressizzante svolto tramite la stimolazione dei neuroni POMC/CART e simultanea inibizione di quelli AGRP/NPY. La grelina, invece, agisce a breve termine: prodotta dallo stomaco e dal duodeno, il suo picco di secrezione si osserva a digiuno, in prossimità dei pasti per poi decadere immediatamente dopo il pasto; essa stimola i neuroni NPY/AGRP determinando quindi un marcato stimolo oressizzante. Anche il peptide YY (PYY) è secreto dal tratto gastrointestinale distale dopo l’ingestione di cibo (con un picco che segue di circa 1 ora il pasto) ed inibisce i neuroni NPY/AGRP bloccando così lo stimolo oressizzante. Questa serie composta di stimoli derivanti dalla periferia (di cui sono stati qui citati solo alcuni) vengono quindi a modulare l’attività del nucleo arcuato dal quale escono in output dei segnali oressizzanti e/o anoressizzanti che vengono elaborati poi ad opera di altri set di neuroni (effettori) posti sul nucleo paraventricolare e nell’area ventro-mediale dell’ipotalamo. Per la successiva discussione è utile citare che tra i neuroni effettori rivestono particolare importanza i neuroni che esprimono il recettore per la melanocortina 4, i quali sono in grado di ricevere ed elaborare il segnale anoressizzante proveniente dal nucleo arcuato. E’ infine interessante notare che i neuroni NPY/AGRP e quelli POMC/CART interagiscono tra loro, avendo i primi la capacità di esercitare inibizione sull’attività dei secondi; in questo modo uno stimolo dei neuroni NPY/AGRP si traduce in stimolo oressizzante sia per la loro capacità di evocare una riposta a valle nei confronti dei neuroni effettori di tale stimolo, sia per la loro capacità di bloccare sinergicamente lo stimolo opposto (4, 5, 6).

Deficit MC4R
Il deficit del recettore della melanocortina-4 (MC4R) è la forma più comune di obesità mendeliana fino ad oggi identificata. La prevalenza nella popolazione generale è probabilmente di circa 1:2000. Nel 2004 è stato pubblicato uno studio su pazienti italiani nei quali è stata trovata una prevalenza dell’1,7%. Il fenotipo è caratterizzato da obesità grave, iperfagia nel primo anno di vita, iperinsulinemia. Viene trasmesso come carattere autosomico dominante ad espressività variabile. Nei rari casi di omozigosi il fenotipo è più severo. Ad oggi non sono disponibili opzioni terapeutiche valide (7, 8, 9).

Deficit di leptina
Mutazioni nel gene per la leptina causano obesità monogenica autosomica recessiva, descritta per la prima volta nel 1997. Il gene per la leptina è trascritto nel tessuto adiposo e produce un RNA messaggero altamente conservato che si esprime in utero e correla con il peso alla nascita e con lo sviluppo puberale. La leptina svolge un ruolo pleitropico: è infatti descritta un’azione immunostimolante e permissiva nei confronti dell’ovulazione, ma la principale attività consiste senz’altro nello stimolare i neuroni POMC/CART e antagonizzare quelli NPY/ARGP svolgendo così un ruolo anoressizzante a medio-lungo termine. I fenotipo dei soggetti con deficit congenito di leptina è caratterizzato da iperfagia ed obesità grave sin dai primi anni di vita. Esiste una valida opzione terapeutica rappresentata dalla somministrazione di leptina ricombinante, in grado di revertire efficacemente il fenotipo (10, 11).

Mutazioni del gene LEPR (recettore della leptina)
Uno studio su una coorte inglese di circa 2000 probandi con obesità grave e precoce ha consentito di individuare mutazioni nel gene per il recettore della leptina in 8 soggetti. Le mutazioni erano di tipo nonsense o missense con abolizione della funzione recettoriale, 7 in omozigosi ed 1 eterozigote composto. I soggetti con mutazioni presentavano iperfagia, obesità severa, precoce, iperinsulinemia. Le donne adulte mostravano inoltre ipogonadismo, tre delle quali ipogonadismo ipogonadotropo (12, 13).

Mutazioni del gene POMC
Il taglio proteolitico del peptide POMC genera sia l’ormone melanotropo (Melanocyte Stimulating Hormone, MSH) che l’adenocorticotropina (Adreno Corticotropic Hormon, ACTH): l’MSH svolge un doppio ruolo sia nel controllo dell’appetito che nella pigmentazione della cute e dei capelli, mentre l’ACTH, come noto, svolge il suo ruolo nella stimolazione corticosurrenalica. Mutazioni germinali nel gene POMC sono state scoperte grazie all’osservazione di due probandi inglesi di 5 e 8 anni che mostravano obesità, pigmentazione rossa dei capelli e deficit di ACTH (con conseguente ipocorticosurrenalismo secondario) e marcata iperfagia sin dall’età di 4-5 mesi con conseguente obesità grave (14, 15).


Obesità sindromica

L’obesità sindromica si riscontra come carattere fenotipico all’interno di un quadro clinico caratterizzato da diverse patologie. Circa 20 sindromi sono caratterizzate dalla presenza di obesità; si trasmettono come carattere autosomico dominante o X-linked o sono dovute ad alterazioni cromosomiche. Si associano spesso a ritardo mentale di grado variabile.  L’insorgenza del fenotipo obesità è spesso precoce.

Sindrome di Prader-Willi (PWS)
La sindrome di Prader-Willi è una malattia genetica molto eterogenea, sia dal punto di vista clinico sia da quello genetico. Si manifesta già alla nascita con una grave ipotonia, che comporta problemi alla deglutizione e all’allattamento. A partire dai due anni di età, il bambino affetto mostra invece una costante assenza di sazietà (iperfagia) la quale, se non controllata, può portare a obesità grave. Iperfagia ed obesità rappresentano quindi il tratto caratteristico dei bambini portatori di PWS; l’aspettativa di vita può essere limitata dalle complicanze quali il diabete e l’insufficienza cardiaca in larga misura secondarie all’obesità. Non esistono ad oggi terapie specifiche per la PWS sebbene un attento e rigoroso controllo del peso e degli apporti dietetici riduce il rischio di patologie secondarie al sovrappeso (2, 16).

Sindrome di Bardett-Biedl (BBS)
La sindrome di Bardet-Biedl (BBS) è una ciliopatia con coinvolgimento multisistemico. La prevalenza in europa è stimata tra 1/125.000 e 1/175.000. La malattia è caratterizzata dall’associazione tra obesità, retinite pigmentosa, polidattilia postassiale, reni policistici, ipogenitalismo e difficoltà di apprendimento, che di solito si presenta diversi anni dopo l’esordio della malattia. La BBS è caratterizzata da una notevole eterogeneità genetica, essendo descritti casi dovuti a mutazioni in 11 diversi geni; per questa sindrome è stato  descritto per la prima volta un meccanismo di trasmissione triallelico (forme cioè recessive che però si manifestano solo in presenza di un allele mutato in uno degli altri loci coinvolti nella BBS) (2, 3).


Obesità comune.

Ereditabilità del fenotipo obesità.
L’obesità comune, definita da un BMI > 30 Kg/m2, è un carattere quantitativo continuo. La genetica dei caratteri quantitativi nell’uomo si è storicamente avvalsa di studi osservazionali su coppie di gemelli. I primi studi sull’ereditabilità dell’obesità comune risalgono alla fine degli anni ’70; uno dei più importanti è quello di Stunkart e collaboratori nel quale sono state osservate più di 15.000 coppie di fratelli gemelli, circa 6000 monozigoti e 7500 dizigoti. Si tratta di uno studio longitudinale che ha seguito nel tempo (25 anni) un ampio gruppo di veterani di guerra, studiando sia la concordanza e l’ereditabilità con il metodo di Falconer per lo studio dei gemelli.

La concordanza è quella circostanza in cui ambedue i membri di una coppia di gemelli presentano o non presentano il carattere oggetto di studio. L’ereditabilità è la quota di varianza fenotipica attribuibile al genotipo e va da 0 ad 1. Il metodo di Falconer è il confronto dei tassi di concordanza in gemelli omozigoti (MZ) e dizigoti (DZ): il razionale è che se l’ambiente gioca un ruolo predominante nel determinare un carattere si osserverà una bassa concordanza sia nei MZ che nei DZ o, al contrario, una elevata concordanza sia negli uni che gli altri (cioè l’essere geneticamente identici rispetto ad essere geneticamente simili ma non identici non modifica la varianza osservata la quale è attribuibile alla condivisione dell’ambiente). Se invece un carattere ha una elevata concordanza nei MZ ma una bassa concordanza nei DZ significa che l’essere geneticamente identici pesa di più sull’espressione o non espressione simultanea del carattere rispetto all’essere geneticamente non identici. L’ereditabilità di un carattere genetico quantitativo continuo è quindi elevata quanto più alta è la differenza di concordanza tra MZ e DZ. Nella coorte di Stunkart l’ereditabilità del carattere BMI risulta essere 0,8, dato che è stato sostanzialmente confermato in letteratura scientifica nel corso degli anni successivi (17, 18, 19).

Geni di suscettibilità: approcci metodologici di ricerca.
Le osservazioni sull’ereditabilità del carattere BMI hanno spinto per anni diversi gruppi di studio a cercare i geni di suscettibilità, con scarsi risultati. Una svolta cruciale nello studio della genetica dell’obesità comune si osserva a partire dai primi anni 2000, cioè dopo il sequenziamento del genoma umano ed in seguito ai progressi in campo biotecnologico e bioinformatico. Nello specifico gli studi di associazione genomica ad ampio spettro (GWAS – Genome Wide Association Studies) hanno consentito di individuare numerose varianti genetiche associate all’obesità comune, in particolare in casistiche di soggetti nella fascia d’età che va dall’infanzia all’adolescenza. Gli studi GWAS sono studi che indagano su larga scala il genoma alla ricerca di varianti nucleotidiche che si associano a malattie sfruttando le capacità di indagine oggi infinitamente potenti messe a disposizione nella cosiddetta “era post-genomica”; lo scopo è quello di individuare regioni genetiche coinvolte nell’insorgenza e nella progressione delle malattie multifattoriali. Si tratta di un approccio metodologico di “positional cloning”, cioè di ricerca di alterazioni genetiche causative non a partire dalla conoscenza della funzione proteica (“functional cloning”), ma a partire dall’associazione con marcatori polimorfici interspersi nel genoma; tale approccio viene in realtà proficuamente utilizzato dai ricercatori sin dall’era pre-genomica e sfrutta un principio relativamente semplice: se in posizione genomica già nota è presente una sequenza ipervariabile (ad esempio una ripetizione in tandem di una stessa sequenza di due o tre nucleotidi che si ripete per un numero variabile di volte nei vari individui), osservare la co-segregazione di una certa variante con un tratto fenotipico di interesse equivale a individuare la regione genetica (posizione del gene) responsabile del fenotipo, dal momento che la vicinanza fisica tra gene e marcatore renderà bassa la probabilità che un evento di ricombinazione li separi; individuata la posizione sarà poi più agevole, anche tramite tecniche di sequenziamento, individuare una ORF (Open Reading Frame) e quindi il gene; infine si procede con il verificare l’effettiva presenza di mutazioni in quel gene nei soggetti portatori del tratto fenotipico oggetto di studio. I marcatori polimorfici che hanno reso possibili gli studi GWAS sull’obesità sono gli SNP (single nucleotide polymorfism), varianti a singolo nucleotide presenti nel genoma in elevato numero (nel genoma vi sono fino a 10 milioni di SNP), con una distribuzione di circa una ogni 300 coppie di basi, spesso quindi presenti all’interno di sequenze codificanti o all’interno di introni). Poiché due SNP vicini tra loro co-segregano, la loro elevata frequenza e la loro relativa vicinanza sul genoma consente di individuare dei blocchi di SNP cosegreganti. L’individuazione di SNP tanto vicini da costituire un blocco (o “cluster”) e la localizzazione di tale cluster nel genoma consente di ridurre di molto il numero di SNP da studiare nel momento in cui si vogliano analizzare tutte le sequenze variabili nel genoma di due individui, ad esempio con (caso) e senza (controllo) il carattere fenotipico di interesse. Si possono ad esempio studiare solo poche centinaia o qualche migliaio di SNP per ricavarne l’informazione relativa a tanti altri presenti in cluster oppure, virtualmente, a tutti gli altri SNP del genoma. Le mappe di associazione sono state realizzate dal consorzio internazionale Hap Map, pubblicate e disponibili gratuitamente in rete per chiunque voglia utilizzarle per studi GWAS. L’architettura di uno studio GWAS si basa sulla classica analisi caso-controllo con un approccio cosiddetto di “forza bruta”: si studiano due gruppi di soggetti, nell’ordine di alcune centinaia o poche migliaia, uno con il tratto fenotipico oggetto di studio (casi) ed uno senza (controlli) e si analizzano migliaia o centinaia di migliaia di SNP interspersi nel genoma. Si stabilisce la presenza di varianti SNP in ciascuno dei due gruppi. Si applicano gli strumenti di statistica opportuni per individuare l’associazione tra fenotipo ed uno o più SNP. Se viene individuata una possibile associazione si effettua uno studio in replicato includendo una casistica molto più ampia di soggetti. Se l’associazione è confermata si indaga la possibilità che l’SNP associato si collochi all’interno di un gene già noto (ed in questo caso si indaga se la variazione di sequenza può influenzare il comportamento del gene) oppure se si colloca all’interno di un nuovo gene il cui contributo al fenotipo viene successivamente analizzato seguendo le classiche strategie del positional cloning. La robustezza del dato statistico si basa sul numero di varianti studiate (nell’ordine delle migliaia) e dalla casistica analizzata (da migliaia a centinaia di migliaia di soggetti): per realizzare uno studio GWAS informativo su larga scala risulta quindi indispensabile disporre di potenti mezzi, sia economici che organizzativi; diversi consorzi internazionali sono stati creati allo scopo, uno dei più importanti che realizza studi GWAS sulla genetica dell’obesità comune è il consorzio GIANT (Genetic Investigation on ANtropometric Traits) (20, 21).

Il mappaggio QTL (quantitative trait loci) dell’obesità.
Nel 2007 grazie agli esiti di uno studio GWAS (inizialmente progettato per individuare varianti di suscettibilità per il diabete di tipo 2) è stato individuato un importante polimorfismo associato all’obesità comune. Sono stati studiati 1924 pazienti diabetici inglesi e 2938 controlli non diabetici, effettuando uno screening di 490.032 SNP autosomici. E’ stata trovata una associazione positiva tra un gruppo di SNP sul cromosoma 16, rs9939609 ed il diabete di tipo 2. L’associazione è stata confermata anche studiando un pannello di replicazione costituito da 3757 casi di diabete e 5346 controlli. In questo pannello tuttavia l’associazione statisticamente significativa veniva abolita se si aggiustavano i dati per il BMI, il che suggerisce che l’associazione tra l’SNP ed il rischio di diabete di tipo 2 è mediata da BMI (l’associazione nella casistica di start-up è stata individuata in quanto i soggetti obesi sono spesso diabetici); rs9939609 è un cluster di SNP posizionati nel primo introne del gene FTO: fat mass and obesity associated (22).
L’associazione viene sottoposta a conferme. Studi di replicazione sono stati effettuati su coorti molto più numerose: su una popolazione di quasi 20 mila soggetti adulti l’associazione viene confermata, con degli “odd ratio” (OR)che si aggirano quasi sempre su 1,4-1,5 per l’omozigosi AA. Si tratta come è evidente di OR non elevati, come d’altra parte ci si attende nel mappaggio di loci QTL nei quali diverse varianti genetiche contribuiscono ciascuna in piccola parte al formarsi del fenotipo (23, 24, 25).
Successivamente il consorzio GIANT conferma su una nuova casistica l’associazione tra il polimorfismo in FTO ed il BMI, individuando altri due polimorfismi associati al fenotipo che mappano nelle vicinanze del gene MC4R. E’ interessante notare che in questa casistica viene individuato un effetto cumulativo di due varianti di suscettibilità: soggetti con alleli conferenti rischio sia in FTO che in MC4R hanno un BMI più elevato (circa 1,2 negli adulti e circa 2,3 nei bambini) rispetto a soggetti con un solo allele di rischio (FTO o MC4R) (26).
Numerosi altri studi hanno individuato diverse varianti di suscettibilità in diverse regioni genomiche e per diverse popolazioni di studio: ad oggi sono note decine di varianti genetiche di suscettibilità, ognuna delle quali fornisce un contributo molto modesto al formarsi del fenotipo (vd tabella 1).

Tabella 1

Geni o regioni adiacenti a geni Locus SNP Tipologia FAR (1) BMI

(2)

OR

(3)

Ref

(4)

INSIG2 2q14 Rs7566605 Intergenico 0,37 1 1,22 30
FTO 16q12 Rs9939609 Intronico 0,45 0,36 1,31 22
MC4R 18q21 Rs17782313 Intergenico 0,24 0,22 1,12 26
TMEM18 2p25 Rs6548238 Intergenico 0,84 0,26 1,19 31
Rs7561317 Intergenico 0,84 0,19 1,2 32
SH2B1 16p11 rs7498665 Codificante 0,41

0,44

0,15

0,45

1,11

1,08

31

32

KCTD15 19q13 rs11084753 Intergenico 0,67

0,70

0,06

0,45

1,04

1,10

31

32

NEGR1 1p31 rs2815752 Intergenico 0,62

0,58

0,10

0,43

1,05

1,07

31

32

GNPDA2 4p13 rs10938397 Intergenico 0,45 0,19 1,12 31
MTCH2 11p11 rs10838738 Intronico 0,34 0,07 1,03 31
BDNF, LIN7C,LGR4 11P14 rs925946 Intergenico 0,3 0,19 1,11 32
SEC16B, RASAL2 1q25 rs10913469 Intergenico 0,2 0,5 1,11 32
FAIM2, BCDIN3D 12q13 rs7138803 Intergenic 0,37 0,54 1,14 32
ETV5, SFRS10, DGKG 3q27 rs7647305 Intergenico 0,77 0,54 1,11 32
NPC1 18q11 rs1805081 Codificante 0,44 -0,06 0,71 33
MAF 16q23 rs1424233 Intergenico 0,43 0,03 1,39 33
PTER 10p12 rs10508503 Intergenico 0,09 0,02 0,68 33
PRL 6p22 rs4712652 Intergenico 0,41 -0,08 0,83 33
RBJ, ADCY3, POMC 2p23 rs713586 Intergenico 0,47 0,14 1,07 34

Il gene FTO (Fat mass and obesity associated).
Il gene FTO la cui associazione con il BMI è stata individuata negli studi GWAS sull’obesità comune è stato oggetto di intensi studi di funzione. Nel 2009 è stato pubblicato il topo knock-out per la funzione sintenica FTO: l’animale ha un BMI ridotto rispetto al wild-type (il fenotipo si manifesta dopo la nascita), con una massa grassa ridotta, una FFM (fat-free mass) anch’essa ridotta sebbene in misura minore, moderata ipoplasia degli adipociti. Soprattutto, gli autori riportano che quando gli animali sono stati esposti ad una dieta ipercalorica ad elevato tenore di grassi si è osservato un incremento ponderale molto modesto, sia nei topi Fto-/- che in quelli Fto+/- rispetto agli omozigoti wilde-type, indicando che “anche una moderata riduzione dei livelli di FTO protegge dall’insorgenza dell’obesità in ambiente obesogenico”. I topi null si mostravano inoltre iperfagici, mostravano una riduzione dell’attività locomotoria spontanea ed un relativo aumento dell’emissione di CO2 alla calorimetria, suggerendo quindi che  il basso peso dei mutanti null sia dovuto non ad un decremento dell’intake calorico ma ad un incremento del dispendio energetico anche in presenza di una ridotta attività motoria spontanea (27, 28).

 

Prospettive di sviluppo degli studi sulla genetica dell’obesità comune.

Individuazione di aplotipi di rischio.
Una delle applicazioni pratiche delle scoperte sulle varianti di suscettibilità per l’obesità comune è quello di stabilire uno o più aplotipi di rischio popolazione-specifici e studiare in quale misura uno o più cambiamenti nello stile di vita siano in grado di incidere sul fenotipo a seconda dell’aplotipo di rischio. In questa direzione si stanno muovendo alcuni trials secondo cui, ad esempio, una moderata attività fisica, in assenza di ulteriori modifiche allo stile di vita, è in grado di annullare l’effetto del polimorfismo nel gene FTO (38,39).

E’ utile ricordare che nel mappaggio QTL le informazioni ricavate a partire da una determinata casistica non necessariamente sono applicabili ad altre popolazioni dal momento che, per definizione, i caratteri multifattoriali scaturiscono da un’interazione tra genoma ed ambiente, il quale varia a seconda della popolazione studiata. Pertanto è necessario stabilire degli aplotipi di rischio popolazione-specifici e poi indagare, su quella specifica popolazione, l’impatto di uno o più cambiamenti nello stile alimentare e/o motorio a seconda dell’aplotipo di rischio.

Test predittivi.
Un’altra applicazione pratica è rappresentata dalla possibilità di realizzare test predittivi sul rischio di sviluppare obesità comune. In questa direzione l’industria sta già producendo diversi test genetici per l’obesità. Sono ad oggi disponibili ad esempio test genetici che studiano il polimorfismo  rs9939609 nel gene FTO o anche test che indagano contemporaneamente gli SNP in FTO ed MC4R ed i numerosi altri polimorfismi che vengono via vai trovati associati al fenotipo obesità. I test vengono erogati al di fuori del servizio sanitario nazionale ed i referti suggeriscono, a seconda della/e variante/i individuata, l’efficacia di una dieta a ridotto contenuto di grassi o a ridotto contenuto di carboidrati ecc. L’efficacia di questi test non è tuttavia ancora stabilita, dal momento che, sulla base dei dati attualmente disponibili sappiamo che non tutte le varianti di suscettibilità sono state scoperte; inoltre non conosciamo l’esistenza di eventuali varianti genetiche che svolgano un ruolo “protettivo” nei confronti dell’obesità ed in quale misura possano compensare l’effetto di una o più varianti di rischio. Infine non sono ancora disponibili studi popolazione-specifici, e, soprattutto, non sono disponibili studi di intervento sull’efficacia delle differenti modifiche allo stile di vita in base all’aplotipo di rischio individuato. Ad oggi, quindi, non sono disponibili test genetici di provata efficacia utili per stabilire il rischio di sviluppare obesità comune ed individuare strategie efficaci per contrastarne insorgenza e/o progressione.

Farmaci.
L’individuazione di uno o più geni funzionalmente coinvolti nell’omeostasi energetica apre concettualmente la strada allo sviluppo di farmaci anti-obesità. Già nel 2009 un gruppo di ricerca (28) ha postulato, sulla base del fenotipo osservato nel modello murino privo della funzione FTO, che una molecola in grado di inibire FTO nell’uomo potrebbe essere un buon candidato per lo sviluppo di un farmaco anti-obesità. Gli studi sono in corso, tuttavia è forse utile citare quanto riportato da Boissel e collaboratori: i ricercatori hanno studiato una famiglia palestinese (in cui era presente consaguineità) in cui 9 individui risultavano affetti da una rara sindrome, mai descritta prima, con caratteristiche fenotipiche riassumibili in ritardo nell’accrescimento postanatale, microcefalia, ritardo psicomotorio grave, deficit neurologici, dismorfismi facciali. I ricercatori hanno individuato mutazioni in omozigosi nel gene FTO in tutti i soggetti affetti della famiglia. La mutazione, di tipo missense (G947A), si traduce in una sostituzione amminoacidica R316Q (Gln>Arg) in una regione altamente conservata della proteina, quindi verosimilmente nel sito attivo; è presente solo nei soggetti malati ed è assente nei soggetti sani (è stata inoltre cercata e non trovata in 730 cromosomi, di cui 378 da individui palestinesi ed anche cercata e non trovata anche in una coorte di 1492 controlli sani di origine europea).  I mutanti umani individuati da Boissel e collaboratori suggeriscono che nell’uomo il gene FTO svolge ruoli pleiotropici e che la sua perdita di funzione determina una rara sindrome con numerose e gravi manifestazioni cliniche (29).

Conclusioni.
L’obesità è un fenotipo che si sviluppa in individui geneticamente suscettibili esposti ad un ambiente obesogenico. Esistono forme di obesità mendeliane, rare e con fenotipo grave, dovute a mutazioni nella linea germinale di geni funzionalmente coinvolti nella regolazione dell’omeostasi energetica. Esistono forme di obesità sindromica, dovute a lesioni genetiche o cromosomiche, in cui il fenotipo obesità è presente all’interno di un quadro sindromico ed in alcuni casi rappresenta la principale causa di morbidità nei soggetti affetti. Le forme di obesità non mendeliane e non sindromiche vengono complessivamente indicate come obesità comune che è un carattere multifattoriale, in cui cioè diverse varianti genetiche, interagendo con l’ambiente, contribuiscono ciascuna in piccola parte al formarsi del fenotipo. L’ereditabilità del carattere obesità è nota da circa tre decadi grazie a studi osservazionali su coppie di gemelli. I recenti progressi nel campo della genomica e della bioinformatica hanno consentito di individuare numerose varianti genetiche associate al fenotipo; in alcuni casi tali varianti hanno consentito il mappaggio posizionale di nuovi geni che intervengono nel regolare il bilancio energetico. Questi studi hanno, almeno sul piano teorico, una duplice ricaduta pratica: da un lato si cerca di individuare un target molecolare per lo sviluppo di specifici farmaci anti-obesità; è tuttavia importante sottolineare, in questo caso, che a) il network di controllo del bilancio energetico nel corpo umano è ancora in larga parte da scoprire, b) che i messaggeri molecolari devono oltrepassare la barriera ematoencefalica e quindi sarebbe utile conoscere i meccanismi molecolari di trasporto attivo che sono a tutt’oggi ignoti, c) che l’arresto o l’interferenza con una specifica molecola può esercitare il suo effetto su pathways biochimici diversi ed imprevedibili, d) che mutanti umani per alcune funzioni geniche che sono state trovate associate ad obesità comune presentano quadri sindromici con manifestazioni cliniche diffuse e severe. E’ quindi auspicabile procedere, in questa direzione, con estrema cautela. Altra ricaduta pratica degli studi sulla genetica dell’obesità comune è quella di individuare aplotipi di suscettibilità popolazione-specifici e successivamente indagare l’efficacia relativa dei vari interventi di correzione dello stile di vita a seconda dell’aplotipo. In questa direzione si stanno già muovendo i primi passi, studiando gli effetti dell’attività fisica o di specifici pattern alimentari su casistiche di soggetti stratificati sulla base della variante genetica di suscettibilità di cui sono portatori. L’obietto finale è quello di indagare, con opportuni test genetici, l’aplotipo di suscettibilità del singolo individuo, e, sulla base del profilo di rischio, avviarlo ad un percorso assistenziale personalizzato, basato su specifici interventi motori e specifici pattern alimentari.

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