Il rapporto inverso tra BMI e vitamina D circolante: è possibile individuare un nesso di causa-effetto?

Dati epidemiologici indicano che l’incidenza dell’obesità e quella del deficit di vitamina D seguono andamenti sovrapponibili nelle popolazioni occidentali. In particolare, il deficit di vitamina D sta suscitando notevole interesse sulla base delle recenti osservazioni secondo cui soggetti con bassi livelli circolanti di vitamina D risultano maggiormente esposti a sviluppare malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete, cancro e malattie autoimmuni (come l’artrite reumatoide). Trattandosi di patologie secondarie anche all’obesità non è inopportuno postulare che l’associazione tra vitamina D e patologie possa essere in qualche modo mediata dall’obesità, la quale potrebbe essere la causa o la conseguenza del deficit di vitamina D. Verranno qui analizzati i dati di letteratura scientifica che hanno analizzato il legame tra obesità e deficit di vitamina D.

Oltre svolgere funzioni legate all’omeostasi del calcio, la vitamina D svolge importanti funzioni immunomodulatorie, antiangiogenetiche ed antiproliverative. Recenti studi epidemiologici hanno individuato un’associazione tra carenza di vitamina D ed alcune patologie come i tumori, le malattie cardiovascolari, il diabete ed alcuni difetti del sistema immunitario (allergie, asma, sclerosi multipla). Anche l’obesità, la cui prevalenza nella popolazione è sovrapponibile a quella del deficit di vitamina D, rappresenta il principale fattore di rischio per tumori, malattie cardiovascolari e diabete. Numerosi studi hanno inoltre dimostrato che individui obesi spesso sono anche carenti di vitamina D circolante. Ci sono due prospettive per spiegare il fenomeno: è possibile ipotizzare che il deficit di vitamina D possa in qualche modo favorire l’insorgenza e la progressione dell’obesità oppure postulare che l’eccesso di adiposità possa determinare un calo dei livelli circolanti di vitamina D. In tutti i casi, il rapporto tra adiposità e livelli di vitamina D è supportato, sul piano molecolare, dalla scoperta che il recettore per la vitamina D (VDR) situato in distretti extrarenali, è presente anche nel tessuto adiposo, il quale quindi può regolare ed essere regolato dalla vitamina D.

La vitamina D può contribuire all’insorgenza dell’obesità?
Un certo numero di studi in vitro e pochi studi clinici hanno indagato questa possibilità. E’ necessario premettere che negli studi in vitro la vitamina D è utilizzata a concentrazioni superiori a quelle presenti in vivo. La differenziazione degli adipociti bianchi ed il loro status trofico sono controllati da una serie di meccanismi alcuni dei quali sono ad oggi noti: ad esempio la LPL (lipoprotein lipasi) ha un ruolo nell’ipertrofia dell’adipocita ed è espressa anche durante le fasi di differenziazione; il PPAR-gamma (peroxisome proliferator-activated receptor-gamma), il C/EBP (CCAAR/enhancer-binding protein) ed lo SREBP-1 (stero-regulatory element-binding protein-1) sono tutti coinvolti nella regolazione trascrizionale dell’espressione di geni coinvolti nella regolazione delle funzioni adipocitarie. Alcuni autori hanno dimostrato la capacità della vitamina D in vitro di inibire LPL, C/EBP, PPAR-gamma e SREBP-1. Altri studi, tuttavia, hanno mostrato un incremento della LPL in adipociti trattati con vitamina D, revertito tuttavia dal PTH, indicando un effetto antagonistico di calcitriolo e paratormone nella regolazione della lipoprotein-lipasi. Un’importante studio ha inoltre dimostrato, semprein vitro, che la vitamina D è in grado di sopprimere la sintasi degli acidi grassi, un importante enzima coinvolto nella lipogenesi de novo all’interno dell’adipocita. Gli autori hanno mostrato anche che l’overespressione del VDR determina l’inibizione della differenziazione dei pre-adipociti, anche in assenza di vitamina D.
Per quanto riguarda gli studi in vivo, ad oggi pochi dati sono disponibili. Uno studio con una supplementazione di 2000 unità di calcitriolo al giorno per 7 giorni ha consentito di osservare un incremento dei livelli circolanti di vitamina ma non un calo della massa grassa o nell’espressione degli RNA messaggeri di proteine ed enzimi coinvolti nella lipogenesi; tuttavia, non è possibile trarre conclusioni da questo studio dal momento che il dosaggio utilizzato potrebbe non essere appropriato e l’epressione degli mRNA potrebbe non riflettere l’espressione delle proteine.
Sono disponibili anche alcuni studi che riportano effetti della supplementazione vitaminica sul successo di un programma di calo ponderale; secondo alcuni autori la vitamina D ha un effetto antiobesogenico dal momento che la sua somministrazione all’interno di un programma di dietoterapia dell’obesità incrementa la probabilità di successo terapeutico. Ljunghall ed altri hanno ad esempio riportato che soggetti che hanno ricevuto una supplementazione di colecalciferolo hanno mostrato un piccolo ma statisticamente significativo maggior calo ponderale rispetto al gruppo placebo. Altri autori hanno riportato che lo status vitaminico prima dell’intervento ipocalorico è predittore del successo dell’intervento; è stato ad esempio dimostrato che in donne trattate con uno sbilancio calorico di 500 Kcal al giorno l’assessment vitaminico prima della dieta è un forte predittore positivo della termogenesi indotta dalla dieta dopo 12 settimane di trattamento. Altri studi hanno invece riportato recentemente l’assenza di effetto della vitamina D sul calo ponderale; si tratta tuttavia di studi che hanno considerato la sola integrazione vitaminica contro placebo, non all’interno di un programma ipocalorico.

L’obesità può contribuire all’instaurarsi di un deficit di vitamina D?
Diversi meccanismi biologici possono potenzialmente determinare un abbassamento dei livelli di vitamina D in soggetti obesi. Alcuni autori hanno postulato che il tessuto adiposo è in grado di sequestrare la vitamina D (liposolubile); Wortsman e collaboratori hanno ad esempio esposto 38 soggetti a raggi UVB somministrando contemporaneamente una bolo di 50.000 unità di vitamina D2: i livelli sierici di vitamina D sono aumentati in misura relativamente bassa nei soggetti obesi rispetto a quelli non obesi. Blum e collaboratori hanno misurato con la spettrometria di massa la concentrazione di vitamina D3 nel tessuto adiposo di 17 soggetti obesi e successivamente nel siero, riportando bassi livelli sierici di vitamina D e correlazione inversa tra adiposità e vitamina D3. Lin e collaboratori riportano che nei soggetti sottoposti a chirurgia bariatrica i livelli di vitamina D salgono un mese dopo l’intervento, sebbene successivamente ritornino a scendere nel primo anno di follow-up. Ma soprattutto Tzotzas e collaboratori hanno riportato che i livelli sierici di vitamina D aumentano in soggetti che effettuano un calo ponderale basato su un intervento ipocalorico.
Diverse ipotesi possono essere formulate per spiegare il fenomeno: ad esempio il rilievo che l’adipocita è provvisto della 25 idrossilasi può suggerire che un eccesso di adiposità di traduca in un aumento del catabolismo di un intermedio della vitamina D abbassando la concentrazione del substrato per la successiva tappa biosintetica che avviene a livello epatico. Un’altra ipotesi è che la sintesi di 25 idrossivitamina D a livello epatico sia rallentata in soggetti obesi, molti dei quali mostrano i segni di una steatoepatite non alcolica. In effetti già alcuni dati mostrano l’inversa correlazione tra vitamina D biologicamente attiva e steatoepatite non alcolica in coorti di pazienti. Infine, è stato proposto che i soggetti obesi siano meno esposti al sole perchè in generale meno propensi a svolgere attività all’aperto ed a scoprire superfici corporee utili per la biosintesi vitaminica.

In conclusione il rapporto di causa-effetto tra BMI e deficit di vitamina D resta ancora da chiarire con ulteriori studi in vitro ma soprattutto in vivo. Quale che sia il rapporto molecolare che lega i due fenomeni, tuttavia, è importante già oggi considerare che soggetti obesi sono più a rischio di essere deficitari di vitamina D e che un programma di calo ponderale determina un innalzamento dei livelli di vitamina circolante in soggetti precedentemente deficitari. Queste osservazioni, insieme a quelle sull’incremento del rischio cardiovascolare, oncologico e diabetico in soggetti con elevato BMI e con deficit di vitamina D, dovrebbero suggerire l’opportunità di indagare i livelli di vitamina D in soggetti obesi e informare tali soggetti che un programma di calo ponderale può contribuire all’incremento della vitamina D con conseguente abbassamento del rischio di diverse ed importanti patologie.

Bibliografia:
Earthman CP et al. The link between obesity and low circulating 25-hydroxyvitamin D concentrations: considerations and implications. Int J Obes (Lond). 2012 Mar;36(3):387-96. doi: 10.1038/ijo.2011.119. Epub 2011 Jun 21.

Ljunghall S et al. Treatment with one-alpha-hydroxycholecalciferol in middle-aged men with impaired glucose tolerance–a prospective randomized double-blind study. Acta Med Scand. 1987;222(4):361-7.

Blum M et al. Vitamin D(3) in fat tissue. Endocrine. 2008 Feb;33(1):90-4. Epub 2008 Mar 13

Wortsman J et al. Decreased bioavailability of vitamin D in obesity. Am J Clin Nutr. 2000 Sep;72(3):690-3.

Lin E et al. Contribution of adipose tissue to plasma 25-hydroxyvitamin D concentrations during weight loss following gastric bypass surgery. Obesity (Silver Spring). 2011 Mar;19(3):588-94. Epub 2010 Oct 14.

Tzotzas T et al. Rising serum 25-hydroxy-vitamin D levels after weight loss in obese women correlate with improvement in insulin resistance. J Clin Endocrinol Metab. 2010 Sep;95(9):4251-7. Epub 2010 Jun 9.