Supplementazione con acido folico in gravidanza e non

E’ stata indagata la possibilità che la supplementazione di acido folico in gravidanza oltre a contribuire alla riduzione del rischio di difetti del tubo neurale possa portare benefici che si estendono anche nel periodo post-natale. In particolare sono stati indagati gli effetti dell’acido folico sullo sviluppo del linguaggio del bambino a tre anni dal parto. Lo studio osservazionale è stato condotto su una coorte di donne norvegesi (Norwegian Mother and Child Cohort Study), ha coinvolto 38.954 bambini ed è stato pubblicato su JAMA.

I folati intervengono nei processi metabolici coinvolti nella sintesi delle purine e della deossitimidina (dTMP), nella formazione della metionina a partire dall’omocisteina, nel catabolismo dell’istidina e nella interconversione tra glicina e serina. La carenza di folati determina una non appropriata sintesi delle basi puriniche e timidilato, con rallentamento o inibizione della sintesi di DNA ed arresto ciclo cellulare in fase S. Il fenomeno colpisce in particolare le cellule in rapida divisione sicché durante le fasi precoci dello sviluppo embrionale gli effetti clinici della carenza di folati si possono manifestare come mancato o ritardato differenziamento del tubo neurale, con conseguente spina bifida e/o anencefalia (difetti del tubo neurale, DTN). Il fenomeno è noto da tempo, così come ampiamente documentata è l’efficacia della supplementazione di acido folico nella prevenzione DTN se assunto prima del concepimento e durante la gravidanza.
Un gruppo di ricercatori si è chiesto se la supplementazione di acido folico durante la gravidanza possa portare benefici alla prole che si estendono anche nel periodo post-natale; in particolare sono stati indagati gli effetti dell’acido folico sullo sviluppo del linguaggio del bambino a tre anni dal parto. Lo studio osservazionale è stato condotto su una coorte di donne norvegesi (Norwegian Mother and Child Cohort Study) gravide tra il 1999 ed il 2008 e pubblicato su JAMA.
Il ritardo nello sviluppo del linguaggio è stato quantificato somministrando alle madri un questionario di valutazione strutturato in una scala crescente di 6 categorie ai cui estremi vi erano l’assenza totale di produzione di parole e la produzione di frasi complete e corrette dal punto di vista grammaticale. I bambini di tre anni che non erano in grado di pronunciare più di una parola o frasi incomprensibili sono stati classificati come affetti da grave ritardo nello sviluppo del linguaggio, fenomeno presente in 204 dei 38,954 bambini studiati (0,5%).
Le madri sono state stratificate sulla base dell’uso di integrazione tra 4 settimane prima a 8 settimane dopo il concepimento in donne che avevano assunto acido folico, acido folico in combinazione con altri integratori, altri integratori privi di acido folico e nessun integratore.
Nel gruppo di donne che avevano assunto acido folico da solo o in combinazione con altri integratori il rischio di grave ritardo nel linguaggio del bambino a tre anni è risultato ridotto del 45% (OR 0,55; 95% CI, 0,35-0,86). I dati completi sono indicati nella tabella sottostante.

L’associazione inversa è risultata ancora statisticamente significativa dopo la correzione per livello di istruzione della madre, BMI della madre, l’attitudine al fumo in gravidanza, il consumo di alcool nel primo trimestre, lo status matrimoniale, così come il livello di istruzione del padre, l’età di entrambi genitori, se i genitori erano sposati, se la gravidanza era pianificata, l’allattamento al seno a 6 mesi dal parto.

Sebbene non sia possibile stabilire conclusioni definitive questo studio pilota suggerisce la possibilità che una corretta disponibilità di acido folico durante le fasi preconcepimento e nelle prime settimane di concepimento possa influenzare lo sviluppo neurologico del bambino oltre che prevenire i DTN.

Bibliografia:
Roth C et al. Folic acid supplements in pregnancy and severe language delay in children. JAMA. 2011 Oct 12;306(14):1566-73

 


Secondo il LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione Italiana) edizione 2012 il fabbisogno di folati è di 0.4 mg/giorno per gli adulti e 0,6 mg/giorno in gravidanza. Un corretto apporto di acido folico riduce l’incidenza di difetti del tubo neurale del 50-70% e di altre malformazioni (palatoschisi, difetti degli arti) del 20-30%; previene inoltre l’anemia megaloblastica; riduce inoltre il rischio di diversi tipi di cancro e riduce i livelli di omocisteina (potenzialmente in grado di incidere sul rischio cardiovascolare). Alcuni Paesi hanno adottato una politica di integrazione e contemporanea fortificazione alimentare su larga scala, esponendo vaste fasce della popolazione all’assunzione di livelli di acido folico più elevati rispetto ai livelli raccomandati: quali gli effetti a lungo termine?

L’acido folico (AF) somministrato come integratore alimentare è un profarmaco, precursore cioè della forma biologicamente attiva, il tetraidrofolato (THF). L’AF è una vitamina idrosolubile del gruppo B (B9), necessaria in diverse catene biochimiche, incluse quelle di sintesi e metilazione del DNA. Il suo fabbisogno è particolarmente elevato quindi in tutti i processi di accrescimento e rapida divisione cellulare. Stati di carenza di AF espongono ad un difetto di sincronia maturativa delle cellule in rapida divisione: ne risentono maggiormente il tessuto ematopoietico (fino all’instaurarsi di un’anemia megaloblastica) o i tessuti del feto in accrescimento: è stato dimostrato ad esempio che spina bifida ed anencefalia (DTN, difetti del tubo neurale) sono malformazioni il cui rischio può essere sensibilmente ridotto assicurando nel periodo periconcezionale un adeguato apporto di AF.
Il fabbisogno ottimale di AF varia da paese a paese in un intervallo di 0,2-0,4 mg/giorno. in Italia è raccomandato un introito di 0,4 mg/giorno per la popolazione adulta e 0,6 mg/giorno in gravidanza. Un corretto apporto di acido folico riduce l’incidenza di difetti del tubo neurale del 50-70% e di altre malformazioni (palatoschisi, difetti degli arti) del 20-30%; previene inoltre l’anemia megaloblastica; riduce inoltre il rischio di diversi tipi di cancro e riduce i livelli di omocisteina (potenzialmente in grado di incidere sul rischio cardiovascolare). Il limite superiore che si raccomanda di non superare a lungo termine è di 1 mg/giorno.

I folati alimentari, pur trovandosi in abbondanza nelle verdure a foglia verde (carciofi, broccoli, asparagi, spinaci, lattuga), nei legumi (fagioli, ceci) e in alcuni frutti (arance, fragole e frutta secca), hanno una ridotta biodisponibilità. Inoltre non corrette preparazioni e conservazioni delle verdure fresche determinano un naturale impoverimento del contenuto in folati: la conservazione a temperatura ambiente per tre giorni può far perdere fino al 70% del contenuto in folati e lunghi processi di ammollo in acqua di verdure fresche o cotture in acqua bollente possono far perdere fino al 95% di questa vitamina idrosolubile. L’AF introdotto con la dieta rappresenta circa il 50% dei folati alimentari. Una dieta bilanciata e “mediterranea”, attenta alla fase di conservazione e preparazione degli alimenti ricchi in folati garantisce il corretto apporto di AF; la crescente diffusione nella popolazione generale di pattern alimentari non mediterranei o comunque carenti in alimenti ricchi in folati, la scarsa conoscenza dei corretti metodi di conservazione e cottura, uniti ad un fisiologico aumentato fabbisogno in gravidanza ha spinto ad adottare l’integrazione di AF in epoca periconcezionale come strategia sanitaria su larga scala finalizzata alla prevenzione primaria dei DTN.

L’AF è stabile al calore e per questo motivo in alcuni Paesi (Israele, Cile, Canada ed USA) è stata adottata una politica di fortificazione delle farine per garantire un elevato livello di intake di AF sull’intera fascia di popolazione, non solo quindi le gravide. Canada e Stati Uniti hanno adottato sia la politica dell’integrazione che quella della fortificazione. Tali strategie di fortificazione ed integrazione hanno ridotto sia l’incidenza dei DTN che delle altre patologie legate alla carenza di AF, ma una recente indagine ha evidenziato che un quarto dei bambini ed il 5% degli adulti negli Stati Uniti assumono quotidianamente una quantità di AF maggiore rispetto al limite consigliato. Quali sono gli effetti di un eccesso di intake di AF come integratore? L’eccessivo introito di AF determina la comparsa di AF libero nel siero; questa circostanza sembra determinare un’interferenza con la vitamina B12, tanto che in soggetti con elevati livelli sierici di AF libero si è osservata l’instaurarsi di un’anemia megaloblastica da carenza di vitamina B12. Altri autori hanno trovato una correlazione tra alti livelli sierici di AF libero e deficit cognitivi.

L’AF è substrato della metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), che produce metil-tetraidrofolato per rimetilazione dell’omocisteina a metionina. Nel fegato e nei reni un pathway alternativo utilizza la betaina per la rimetilazione dell’omocisteina attraverso la betaina-omocisteina metiltransferasi che collega il metabolismo della colina al metabolismo dei folati. Quando il metabolismo dei folati viene turbato, sia nell’uomo che nel topo, si osserva un accumulo di betaina ed omocisteina. Ad esempio, mutazioni dell’enzima MTHFR determinano, come noto, incremento dell’omocisteina, così come accade in caso di basso livello di assunzione alimentare di acido folico. Il gene MTHFR risulta frequentemente mutato nella popolazione generale: varianti alleliche che riducono l’efficienza dell’enzima risultano presenti in vaste fasce della popolazione. Ad esempio, la variante C677T si presenta con una frequenza tale per cui il 40% circa della popolazione di area mediterranea risulta eterozigote. Se alti livelli di intake di AF producono la comparsa di AF libero in circolo il quale è potenzialmente in grado di interferire con la via biochimica dell’enzima MTHFR, cosa succede quando un soggetto eterozigote per la variante C677T del gene MTHFR assume alte dosi di AF? Per rispondere a questa domanda uno studio canadese recentemente pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition ha indagato, nel modello murino, gli effetti di un’assunzione di AF 10 volte superiore ai limiti raccomandati, utilizzando topi wild type per il gene MTHFR e topi con la mutazione corrispondente a quella umana C677T. Il modello sperimentale è stato realizzato per mimare quello che sta accadendo a seguito della politica di integrazione e fortificazione, che espone in alcune circostanze all’assunzione di una quantità di acido folico appunto superiore di 10 volte rispetto alle RDA, in una popolazione (Stati Uniti) in cui la prevalenza di eterozigoti per la mutazione C677T del gene MTHFR è del 25-30% circa.

Gli autori hanno osservato che alti livelli di AF determinano steatosi epatica ed anemia megaloblastica. La steatosi epatica, a livello istologico, appare più marcata nei topi MTHFR +/- rispetto ai topi MTHFR+/+ (wild type). I ricercatori hanno quindi postulato che l’esposizione ad elevati livelli di AF possa determinare steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e che tale effetto sia più marcato nei topi eterozigoti per la mutazione del gene MTHFR rispetto ai topi wild type; precedenti studi avevano in effetti già dimostrato l’effetto inibitorio sull’enzima MTHFR di elevati livelli di AF in estratti di tessuto cerebrale. Ripetendo questo saggio su estratti di tessuto epatico il risultato è stato lo stesso: il livello dell’enzima MTHFR è influenzato (ridotto) sia dallo status genetico (come atteso) che dall’esposizione ad alti livelli di AF, con la riduzione più marcata osservata pertanto nei topi MTHFR +/- esposti ad alti livelli di AF. I ricercatori hanno, a cascata, osservato nei topi sovraesposti una riduzione della capacità metilante di MTHFR (con conseguente cambiamento nel pattern di espressione di altri geni coinvolti nei processi di metilazione), un’alterazione del pattern di espressioni di geni del metabolismo lipidico e del colesterolo.

In conclusione, gli autori di questo report segnalano che l’esposizione ad alti livelli di AF determina l’instaurarsi di una pseudo-carenza di MTHFR, e che tale fenomeno diviene fenotipicamente più evidente negli eterozigoti MTHFR C677T +/-. Nel modello murino ciò si traduce nell’instaurarsi di un quadro di NAFLD accompagnato da una sequela di altri screzi biochimici. Resta da comprendere ora quale possa essere l’effetto sull’uomo: in Italia non è stata mai intrapresa una politica di fortificazione, mentre è ormai radicata la politica dell’integrazione periconcezionale. Secondo il LARN 2012 il fabbisogno di folati per gli adulti è di 0.4 mg/giorno ed in gravidanza è di 0.6 mg al giorno, tuttavia tale livello è relativo ai folati, quindi il fabbisogno di AF sarebbe di circa la metà (essendo appunto del 50% il rapporto tra folati alimentari ed AF); mentre gli integratori di AF consigliati in gravidanza contengono 0,4 mg di AF (che si aggiunge a quello proveniente dalla dieta); per gravide che presentano fattori di rischio l’integrazione consigliata è di 4-5 mg al giorno (3). Vale la pena ricordare che nel nostro paese la prevalenza di eterozigoti C677T per il gene MTHFR è molto più elevata (circa 40% della popolazione) rispetto agli USA.

Bibliografia (consultata a luglio 2015):