L’aderenza a pattern alimentari salutari nel periodo pre-gestazionale è associata ad una riduzione del rischio di sviluppare diabete gestazionale.

Diversi studi hanno già dimostrato un’associazione inversa tra l’insorgenza del diabete di tipo 2 e l’aderenza ad uno dei pattern alimentari come il pattern aMED (alternate Mediterranean), il DASH (Dietary approaches to stop hypertension) o il pattern aHEI (Healtly eating index). Tuttavia ad oggi non è noto se l’aderenza ad uno di questi pattern dietetici prima della gravidanza si associa ad un diminuzione del rischio di sviluppare diabete gestazionale (GDM).

Il diabete gestazionale (GDM) è causato da difetti funzionali analoghi a quelli del diabete tipo 2 (T2DM); viene diagnosticato per la prima volta durante la gravidanza in donne in precedenza non diabetiche ed in genere regredisce dopo il parto. Oltre ad essere una causa di complicanze del parto, il GDM lascia uno screzio nelle donne che lo hanno sviluppato dal momento che, anche a distanza di anni dal parto, esse hanno un rischio più elevato ti sviluppare T2DM rispetto alla popolazione generale.

Diversi studi hanno già dimostrato un’associazione inversa tra l’insorgenza del diabete di tipo 2 e l’aderenza ad uno dei pattern alimentari come il pattern aMED (alternate Mediterranean), il DASH (Dietary approaches to stop hypertension) o il pattern aHEI (Healtly eating index).

Tuttavia ad oggi non è noto se l’aderenza ad uno di questi pattern dietetici prima della gravidanza si associa ad un diminuzione del rischio di sviluppare GDM. Per rispondere a questa domanda un gruppo di ricercatori ha effettuato uno studio sulla coorte NHS II (Nurses’ Health Study II) costituita da 15.254 donne che hanno partorito 21.376 bambini nel decennio 1991-2001. Dopo aver selezionato i casi in base ai classici criteri di inclusione ed esclusione (ad esempio sono state escluse le donne con malattie croniche o con pregresso GDM), sono stati analizzati gli stili alimentari utilizzando lo strumento del questionario di frequernza semiquantitativo (food-frequency questionnaire FFQ), nel quale l’intervistato indica la frequenza di consumo (da mai fino a 6 porzioni al giorno) per ciascun gruppo omogeneo di alimenti.

Lo strumento dell’analisi del pattern alimentare si sta rivelando molto utile e molto utilizzata dai ricercatori per gli studi sull’impatto dello stile alimentare sulla salute.
Lo studio di un pattern alimentare piuttosto che di un singolo alimento consente di catturare le informazioni complessive su un modo di mangiare, sulle interazioni e sinergie (magari ad oggi ancora ingnote alla scienza) tra i vari componenti della dieta. I singoli alimenti, benché possano esercitare un documentato ruolo benefico, non vengono tuttavia mai consumati da soli, ma sempre all’interno di un pasto ed in generale insieme al altri alimenti; l’interazione con gli altri alimenti può inibire o esaltare le peculiarità del singolo alimento. Risulta pertanto molto più informativo lo studio di un intero pattern alimentare. Inoltre lo studio di un pattern alimentare può consentire, una volta stabilita la sua efficacia, di tradurre le informazioni scientifiche in un linguaggio immediatamente fruibile per la popolazione sottoforma di messaggi per la salute e linne guida.

In questo studio sono stati presi in considerazione 3 pattern alimentari.
Il pattern aMED è uno score derivato dalla dieta mediterranea, il DASH è uno score noto da anni per misurare la complicance all’omonima dieta che si è dimostrata efficace per il trattamento dell’ipertensione. L’indice aHEI è stato ricavato dalle linee guida per la sana alimentazione degli americani.

Gli componenti salienti che entrano in gioco nello stabilire un punteggio (score) per ciascuno dei tre patter studiati sono riportati nella tabella sottostante:

Nel calcolo dell’aMED score i partecipanti hanno ricevuto 1 punto per tutte le voci il cui consumo è risultato superiore rispetto alla mediana ad eccezione delle carni rosse e conservate, per le quali il punto è stato attribuito quando il consumo era inferiore alla mediana. Un punto è stato assegnato per un consumo di alcol compreso tra 5 e 15 grammi al giorno.

Lo score DASH è simile all’aMED: i partecipanti ricevono 1 punto per ogni componente in base al loro quintile di intake (misurato in termini di porzioni al giorno per gli alimenti per i quali è incoraggiato il consumo); quindi un partecipante nel terzo quintile di consumo di vegetali avrà 3 punti. Al contrario un punteggio inverso è assegnato per l’intake di carne rossa e processate, sodio e bevande zuccherate; l’intake di queste ultime è stato suddiviso in quartili anziché quintili dal momento che c’è meno variabilità nel loro consumo.

Nel calcolo dello score aHEI i punti sono stati assegnati punteggi per l’intake di ciascun componente raccomandato dalle linee guida per la sana alimentazione degli americani in una scala da 0 a 10, a seconda del livello di intake.

Dopo aver effettuato l’analisi statistica dei dati tutti e tre i patter dietetici si sono rivelati inversamente correlati al rischio di GDM. Confrontando le donne nel quarto quartile (maggiore aderenza al pattern) con quelle nel primo quartile (minore aderenza al pattern) il rischio di GDM è più basso del 24% per lo score aMED, del 34% per lo score DASH e del 46% per lo score aHEI.

 

Lo studio dimostra quindi che l’aderenza ad un pattern alimentare salutare nel periodo pregestazionale abbassa il rischio di sviluppare il diabete gestazionale, contribuendo così al un outcome più favorevole della gravidanza e all’abbassamento del rischio di sviluppare diabete di tipo 2 post-gravidico.

Bibliografia:
Tobias DK et al. Prepregnancy adherence to dietary patterns and lower risk of gestational diabetes mellitus.  AJCN 2012 96: 2 289-295