Il digiuno intermittente ed il suo impatto sul profilo metabolico

Il digiuno intermittente è una pratica che sta guadagnando popolarità come forma di restrizione calorica finalizzata alla perdita di peso ed al mantenimento di un buono stato di salute. Esistono evidenze scientifiche a supporto di tale pratica? Una review sistematica della letteratura scientifica curata da B. Horne e collaboratori e pubblicata su International Journal of Obesity ha indagato gli effetti del digiuno intermittente sulla base degli studi clinici presenti in letteratura scientifica.
Diversi studi indicano come, nel modello animale, la restrizione calorica determini aumento della longevità e riduca il rischio di aterosclerosi, insulti metabolici in genere e disfunzioni cognitive. Molte persone praticano volontariamente la restrizione calorica sottoforma di digiuno intermittente, un sistema finalizzato ad aumentare la compliance al regime restrittivo, più agevole da osservare nel digiuno intermittente (nel quale il senso di fame è mitigato dagli intervalli tra un giorno di digiuno e l’altro) rispetto alla restrizione calorica nella quale il senso di fame è costante nel tempo. Inoltre, i meccanismi biologici che si attivano nel digiuno intermittente sono differenti da quelli che si attivano in corso di restrizione calorica. La pratica del digiuno intermittente nell’uomo è sostenuta da alcuni studi che postulano
1) riduzione della massa grassa, utilizzata dall’organismo nei giorni di digiuno
2) attivazioni dei processi cellulari rigenerativi a seguito dello stress metabolico nei giorni di digiuno
3) miglioramento del profilo di sensibilità glucidica tramite attivazione dei geni FOXA (una famiglia di geni che regolano la produzione di glucagone e l’omeostasi glucidica in risposta al digiuno)

I programmi di digiuno intermittente sono vari: in alcuni casi si osserva un giorno di digiuno al mese (si consuma la colazione e successivamente si digiuna per tutto il giorno, si salta la colazione del giorno successivo e poi si ricomincia ad alimentarsi regolarmente con il pranzo del giorno successivo, utilizzando solo acqua e tisane durante il digiuno); in altri casi si osservano due giorni di digiuno a settimana intervallati da 5 giorni di alimentazione libera; nell’ADF (Alternate-day fasting) è previsto un giorno di alimentazione libera (ad libitum) ed uno di digiuno. Esistono anche le forme di digiuno religioso, come il Ramadan, durante il quale vi è astinenza dal consumo di cibi e bevande dall’alba al tramonto, ed un loro consumo parco e moderato dopo il tramonto, per un mese circa all’anno. Vi sono numerose variazioni sul tema; anche per questo gli studi clinici sono eterogenei, non facilmente interpretabili e mancano spesso del braccio di controllo. In questa review sono stati presi in considerazione 5 trial clinici. Eccoli riassunti in questa tabella:

Esistono studi che mettono in correlazione la pratica del digiuno intermittente con il rischio cardiovascolare? Un dato interessante proviene da uno studio statunitense iniziato nel 2001 con l’intento iniziale di indagare circa l’effetto della cessazione del fumo di sigaretta sul rischio cardiovascolare. Nei 12 anni di osservazione (1984-1996) la prevalenza dei fumatori diminuì sensibilmente nello stato della California rispetto allo Utah dove era già basso, ma ciò non risultò in un abbassamento del rischio cardiovascolare nei soggetti dello stato della California rispetto a quelli dello Utah; nello Utah la prevalenza di fumatori è bassa in quanto la religione (Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, i cui seguaci sono i mormoni) vieta il fumo di tabacco. Lo studio dimostrò che il più basso CVR dei mormoni non era statisticamente associato alla loro astinenza dal fumo di tabacco. Per comprendere allora quale fosse il fattore ambientale che abbassava il CVR dei mormoni fu condotto, successivamente (2004-2006) uno studio sulle abitudini a digiunare in 448 soggetti con cateterizzazione cardiaca. In questo studio si è osservato che i soggetti che praticavano il digiuno intermittente avevano un CVR più basso (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18805103) ; si è anche osservato che anche soggetti di altre religioni (non mormoni) che praticavano il digiuno intermittente avevano un più basso CVR. Nelle stesse coorti è stato dimostrato anche un più basso rischio di diabete. Un secondo studio su 200 pazienti, più focalizzato sul diabete (che veniva posto come outcome dello studio), ha dimostrato un più basso rischio di diabete nei soggetti che praticano il digiuno intermittente (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22425331) .

Gli studi sugli effetti del digiuno intermittente presenti in letteratura scientifica sono pochi, spesso di difficile interpretazione a causa dell’assenza di procedure standardizzate di digiuno intermittente, condotti su pochi pazienti. Mancano studi che focalizzino specificatamente l’attenzione sui possibili profili di sicurezza (non nocività) della pratica e sui possibili effetti avversi. Tuttavia le varie pratiche di digiuno intermittente stanno guadagnando popolarità ed alcune dati si stanno consolidando in relazione al miglioramento del profilo metabolico in genere (benché gli effetti sui livelli ematici di colesterolo LDL risultino opposti in due distinti trial). Sono pertanto necessari studi più approfonditi, ben disegnati, con approcci di digiuno standardizzati, che prendano in considerazione come outcomes anche possibili effetti avversi, per poter stabilire se la pratica del digiuno intermittente nell’uomo possa determinare un miglioramento del profilo metabolico ed un abbassamento del rischio di morbidità per alcune importanti malattie cronico-degenerative.

Bibliografia:
Horne B.D. et al. Health effects of intermittent fasting: hormesis or harm? A systematic review. Am J Clin Nutr. 2015 Aug;102(2):464-70