Dieta mima digiuno: razionale ed applicabilità in ambito ambulatoriale

La restrizione calorica è un meccanismo già noto per i suoi effetti antiaging, promuovendo processi metabolici di protezione dallo stress ossidativo, anti-infiammatori, di ottimizzazione del metabolismo energetico cellulare. Di fatto tutti i modelli animali ai quali la restrizione calorica è stata applicata a fini sperimentali hanno mostrato un incremento della longevità. Valter Longo e collaboratori indicano su Cell Metabolism i risultati della loro ricerca su un modello di restrizione calorica, Fast Mimicking Diet (“dieta mima digiuno”, FMD) che prevede cicli di alternanza di 4 giorni di restrizione ipocalorica seguiti da una fase di alimentazione ad libitum (fase di refeeding) nel topo ed uno studio pilota con un protocollo di tre cicli di FMD da 5 giorni al mese nell’uomo.


La restrizione calorica è un meccanismo già noto per i suoi effetti antiaging, promuovendo processi metabolici di protezione dallo stress ossidativo, anti-infiammatori, di ottimizzazione del metabolismo energetico cellulare. Di fatto tutti i modelli animali ai quali la restrizione calorica è stata applicata a fini sperimentali hanno mostrato un incremento della longevità. La restrizione calorica può essere somministrata sotto forma di digiuno prolungato o digiuno intermittente laddove per digiuno si intende l’astinenza degli alimenti ma non dall’acqua. Nel modello murino la restrizione calorica promuove meccanismi di protezione contro il diabete, il cancro, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Nell’uomo il digiuno intermittente parziale rappresentato sulle dal consumo di circa 500 kcal al giorno per 2 giorni a settimana ha mostrato effetti positivi sui livelli di insulina, glucosio, proteina C reattiva, pressione sanguigna. Si osserva inoltre riduzione della somatomedina-C (IGF-1) ed anche riduzione dei globuli bianchi seguita da una rigenerazione sostenuta dalle cellule staminali emopoietiche durante la fase successiva di rialimentazione.

Razionale
L’interconnessione tra bassi livelli di IGF-1 ed aumento della longevità per riduzione delle principali cause di morbidità (malattie cardiovascolari, cancro) è anche dimostrata dall’osservazione e dallo studio di alcuni cluster etnici nei quali vi è trasmissione ereditaria di un deficit a livello del gene per il recettore dell’ormone della crescita (sindrome di Laron). Questa mutazione, che fenotipicamente si manifesta con nanismo ed altri disturbi (1), si accompagna a bassi livelli IGF-1 i quali si ritiene siano associati alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e cancro, patologie di fatto non presenti nei soggetti con sindrome di Laron, nonostante la loro alimentazione ed il loro stile di vita sia del tutto analogo a quello delle popolazioni occidentali nelle quali vi è alta prevalenza di queste patologie. La correlazione inversa tra livelli di IGF-1 e cancro emerge da importanti studi osservazionali anche italiani (Cos-2 e DIANA, 2) finalizzati ad indagare il rapporto tra dieta e tumori, nei quali si dimostra che l’elevato intake di proteine animali si associa ad elevati livelli di IGF-1 in soggetti con rischio aumentato di cancro.
La restrizione calorica ed in particolare la restrizione del intake di proteine animali si candida pertanto come una efficace strategia nutrizionale (e non farmacologica) per l’abbassamento del rischio di malattie cronico degenerative. I modelli adottabili in grado di garantire un esito misurabile e nel contempo una adeguata compliance da parte dei soggetti da sottoporre a trattamento sono oggi in fase di studio: il digiuno prolungato sembra una strategia difficilmente perseguibile dalla maggior parte della popolazione oltre che potenzialmente in grado di esitare in effetti avversi specie in presenza di concomitanti stati patologici, disfunzionali o di malnutrizione per difetto a livello di micronutrienti, condizione molto comune nelle popolazioni occidentali ed in particolare tra i soggetti che consumano junk food.
Valter Longo e collaboratori indicano su Cell Metabolism (3) i risultati della loro ricerca su un modello di restrizione calorica, Fast Mimicking Diet (“dieta mima digiuno”, FMD) che prevede cicli di alternanza di 4 giorni di restrizione ipocalorica seguiti da una fase di alimentazione ad libitum (fase di refeeding) nel topo ed uno studio pilota con un protocollo di tre cicli di FMD da 5 giorni al mese nell’uomo.

S. cerevisiae
Il modello è stato dapprima sperimentato sul lievito: in questo caso, tenuto in considerazione il ciclo vitale di S. cerevisiae, la restrizione calorica è stata applicata alternando le cellule da un medium ricco in nutrienti ad un medium contenente solo acqua a cicli di 48 ore. Le cellule sottoposte a restrizione calorica hanno mostrato incremento della sopravvivenza e della resistenza allo stress ossidativo.

Topo
Nel topo è stato invece applicato il modello FMD, somministrando per un periodo di 4 giorni e per due volte al mese una dieta fortemente ipocalorica ed ipoproteica in grado di “mimare” il digiuno, di evocare cioè gli stessi meccanismi biochimici che si attivano durante il digiuno pur non essendo un digiuno completo, con successiva fase di refeeding ad libitum tra un ciclo e l’altro. Al termine dei 4 giorni di FMD i topi mostravano riduzione del peso corporeo, dei livelli di glucosio (-40%), insulina (10 volte) ed IGF-1 (-45%) rispetto ai topi di controllo; durante il periodo di refeending recuperavano il peso perso rispetto ai controlli ed i livelli di glucosio, insulina ed IGF-1 ritornavano come quelli dei topi di controllo. Benché non siano state trovate differenze significative a livello di massa grassa (FFM) sottocutanea, i topi FMD mostravano una riduzione del grasso viscerale rispetto ai controlli senza perdita di massa magra (FM). Si è osservata un’attivazione dei processi di rigenerazione cellulare a livello epatico e renale nei topi FMD rispetto ai controlli, così come si è osservata, nei topi FMD, una resistenza all’incremento di p62, una proteina che si riscontra elevata in cellule muscolari resistenti all’autofagia (meccanismo biologico di rimozione selettiva di organelli danneggiati): se nei topi di controllo p62 aumenta con l’età, nei topi FMD questo incremento non si osserva, consentendo quindi un prolungamento nel tempo dell’attività autofagica e quindi protettiva nei confronti dell’invecchiamento cellulare. I topi utilizzati in questi esperimenti erano geneticamente predisposti allo sviluppo di tumori liquidi e solidi di origine ematopoietica (principalmente linfomi): nel corso dell’esperimento è stata osservata riduzione del 45% dell’incidenza di neoplasie nel gruppo FMD. Al termine della vita infatti il 40% dei topi FMD ha sviluppato una neoplasia contro il 65% dei controlli; si è anche osservato uno ritardo statisticamente significativo dell’età di insorgenza della neoplasia. Il sistema ematopoietico sembra anche giovarsi del trattamento FMD: oltre alla diminuzione dei globuli bianchi in corso di FMD seguita da rientro nei valori normali (che suggerisce il loro rinnovo sostenuto dalle cellule staminali emopoietiche) è stato anche osservato un aumento delle cellule staminali mesenchimali del midollo, che rappresentano una fonte di cellule potenzialmente in grado di differenziarsi in tessuti anche di altri organi. Migliori performances sono state anche osservate nei topi FMD nei test di coordinamento motorio, memoria e breve e lungo termine anche se nei test di coordinamento motorio le performances dei due gruppi si equivalgono quando viene introdotta la correzione per peso corporeo, indicando che il miglioramento del gruppo FMD è dato dalla riduzione della massa grassa piuttosto che dal pattern alimentare con il quale sono stati alimentati. Infine, la vita media dei topi FMD è risultata statisticamente (P<0,01) superiore (28,3 mesi) rispetto a controlli (25,5 mesi); è stato tuttavia osservato che nelle fasi più avanzate della vita il trattamento FMD era seguito dalla morte dell’animale, per cui è stato modificato il protocollo riducendo da 4 a 3 i giorni di FMD, ottenendo una riduzione della mortalità. Inoltre, fermando del tutto il protocollo FMD una volta raggiunta la senescenza la mortalità non viene modificata. Questi ultimi dati suggeriscono che il trattamento FMD impatta sulla durata della vita nel topo, ma che la sua sospensione una volta raggiunta una certa età risulta utile per conservare i benefici accumulati prevenendo stati di malnutrizione che possono risultare controproducenti.

Uomo
Il protocollo FMD è stato applicato ad uno studio pilota, 19 dei quali hanno ricevuto la dieta FMD e 19 controlli. La scelta degli alimenti è ricaduta su quelli dalle capacità presupposte di abbassare il glucosio, l’insulina, l’IGF-1, aumentare IGFBP-1 (inibitore di IFG-1), aumentare i corpi chetonici. Il protocollo è stato modificato introducendo 5 giorni di FMD al mese per 3 cicli, con un intake calorico pari al 34-54% di quello che nella pubblicazione è definito come “introito calorico normale” e che supponiamo essere il TDEE (total daily energy expenditure ottenuto a partire dal metabolismo basale e dalla stima del livello di attività fisica), ed una composizione in macronutrienti così ripartita: proteine 11-14% – carboidrati 42-43% – grassi 46%. Si tratta di una dieta ipocalorica, ipoproteica con apporto di sole proteine vegetali, lievemente ipoglucidica (senza zuccheri semplici) ed iperlipidica (senza grassi saturi). Nello specifico, in questo studio pilota la dieta era così formulata: primo giorno 1090 Kcal (10% proteine, 56% grassi, 34% carboidrati), dal secondo al quinto giorno 725 kcal (9% proteine, 44% grassi, 47% carboidrati). Ai soggetti è stato chiesto di ritornare alle loro normali abitudini alimentari negli intervalli tra un ciclo e l’altro e non modificare il loro stile di vita e le loro attività motorie. Il 19% dei soggetti è stato eliminato dalla casistica: il 5% per dropout ed il 19% ha abbandonato per motivi logistici (lavoro, impegni di altra natura). I rilievi biometrici (ematochimici e strumentali) sono stati eseguiti all’inizio, al termine del primo ciclo di FMD e dai 5 agli 8 giorni dopo la fine del terzo ciclo di FMD. Nel gruppo FMD la glicemia a digiuno era ridotta dell’11.3 ± 2.3% ed è rimasta più bassa del 5.9 ± 2.1% anche dopo la fine del terzo ciclo di FMD (p<0,05). I chetoni ematici erano 3,7 volte più alti al termine dei cicli di FMD e sono tornati normali nel controllo finale. IGF-1 era ridotto del 24% circa al termine del trattamento e sono rimasti più bassi del 15% circa al termine dei cicli. IGFBP-1 era aumentato di una volta e mezza durante il trattamento ed è rientrato nei valori normali al termine. I soggetti con dieta FMD hanno perso in media il 3% del peso, senza perdita di FFM, e mantenuto questa perdita fino al terzo controllo. Nessuna differenza significativa si è osservata negli esami ematochimici tra i due gruppi (bilirubina e fosfatasi alcalina, urea, creatinina, transaminasi). La proteina C reattiva, marker di low-grade inflammation associato ad incremento del rischio cardiovascolare, è diminuita nei soggetti in cui era lievemente mossa prima del trattamento, restando bassa in quelli in cui già lo era. Per quanto riguarda la capacità rigenerativa del sistema immuinitario sostenuta da incremento delle cellule staminali mesenchimali nello studio pilota sull’uomo si è osservata una tendenza all’incremento, ma non statisticamente significativa.

Bibliografia:
Orphanet / OMIM

 


Osservazioni relative all’applicazione del protocollo FMD in ambito ambulatoriale nutrizionistico
Nei criteri di esclusione proposti vi sono la presenza di stati patologici concomitanti, terapie ormonali sostitutive (per es. tiroxina), oltre che età (sono esclusi gli under-18 e gli over-70), cosa che restringe notevolmente il campo di applicazione della tecnica in ambito ambulatoriale, dove, come noto, afferiscono molti soggetti che rientrerebbero nelle categorie di esclusione. Tra quelli eligibili bisogna poi tenere in considerazione le esclusioni dovute al tipo di attività lavorativa dei possibili pazienti: apporti calorici di 7-800 Kcal al giorno per 5 giorni consecutivi difficilmente risulterebbero compatibili ad esempio con un’attività lavorativa manuale che richiede un impegno fisico moderato/elevato, o, in alcuni casi, anche con attività lavorative intellettuali che richiedono fasi di intensa e prolungata concentrazione.
Per quanto riguarda gli outcomes misurati in questo studio (abbassamento della glicemia, di IGF-1, CRP, FM) si tratta di parametri valutati solo pochi giorni dopo la fine del terzo ciclo di FMD: sarebbe interessante valutare il mantenimento di questi vantaggi metabolici su un arco temporale maggiore. Nei soggetti obesi che correggono il loro BMI (e quindi la loro FM) con una dieta mediterranea è già ampiamente documentato il miglioramento del profilo glucidico ed infiammatorio, miglioramento che si estende su un arco temporale di lunga durata; la correzione è virtualmente definitiva se interviene un cambiamento definitivo dello stile di vita. Anche la percentuale di dropout di questo studio non sembra inferiore a quello generalmente associato agli interventi in campo nutrizionale.
Il protocollo FMD potrebbe pertanto essere applicato a soggetti di età compresa tra 18 e 70 anni, sani, in grado di gestire logisticamente 5 giorni di alimentazione fortemente ipocalorica, interessati al protocollo per le sue proprietà di evocare una rigenerazione di alcuni tessuti sostenuta dalla perdita alla resistenza all’autofagia, all’apoptosi delle cellule senescenti e dall’attivazione delle cellule staminali; in questo senso il protocollo FMD è senz’altro interessante anche se, nello studio pilota, non sono state apprezzate differenze significative nelle cellule staminali mesenchimali tra i soggetti FMD e controlli. Studi ulteriori sono pertanto auspicabili per indagare le capacità di attivazione di questi processi biologici dei protocolli di digiuno o semidigiuno intermittente, protocolli che si candidano pertanto come strategie non farmacologiche per la prevenzione primaria oltre che per il trattamento di importanti patologie cronico degenerative.